martedì 26 maggio 2009

LA RAGAZZA DELL' AUTOBUS


Viaggiavo quel mattino, come ogni solito mattino, a bordo del bus numero 57 diretto al polo delle scienze sociali di Novoli a Firenze, tutto attorno a me un vociare insistente di studenti, anziane signore e ragazzi di colore che si recavano davanti alle facoltà per cercare di vendere libri di poesie africane. Mi pare un giorno di avergliene comprato uno ma sono sicuro di non averlo mai letto. Magari ho fatto male, ma in ogni caso non l'ho fatto. In realtà di letture in vita mia ne ho fatte veramente poche, solitamente mi tengo informato con i giornali free press che tutti i giorni mi rifilano per strada. I bus sono diventati oramai lo specchio delle differenze di classe, al loro interno vi si trovano persone che per una ragione o per l'altra non possono permettersi una macchina propria e che perciò loro malgrado scelgono il mezzo pubblico. Inconsapevoli protettori della qualità dell'aria cittadina, invece di essere premiati, sono costretti a stare appiccicati come sardine l'uno contro l'altro. La mattina in questione oltre al solito ingorgo quotidiano ci si mise pure un fitto acquazzone che come da copione, in questi casi, bloccò il traffico rendendo il viaggio più lento e logorroico del solito. Affianco a me vi era seduta un'anziana signora vestita con un cappottone rosso natalizio ed i capelli cotonati color argento; mi era saltata all'occhio perché aveva fatto una partaccia ad uno studente che non le aveva lasciato prontamente il posto a sedere. Con la sicurezza di chi sa di aver comunque ragione e la ghigna di chi vuole per forza rompere i coglioni l'impavida nonnina iniziò a inveire, con un accento marcatamente fiorentino, contro lo sventurato studente che dopo una timido cenno di reazione si alzò scocciato allontanandosi in direzione dell'uscita. Subito dopo questa scena grottesca vidi una piccola mano infilarsi nel giacca rosso natalizia della vecchia e da lì estrarvi il borsello. Il gesto fu rapido e sicuro tanto da non darmi al momento nemmeno la certezza che fosse avvenuto. Allungai la testa e vidi due bellissimi occhi azzurri che incrociarono il mio sguardo e che sparirono in un lampo in coincidenza della fermata. Preso dal panico sul da farsi afferrai lo zaino e, strattonando due o tre persone prima di me, riuscii ad uscire dal mezzo e vidi la ragazza dirigersi nel parchetto attiguo alla fermata. La seguii, la pioggia fitta aveva reso i viali del parco un pantano che non risparmiò i miei pantaloni e le mie povere scarpe che divennero rapidamente marroni. La figura femminile ad un tratto si voltò nella mia direzione, vidi per la seconda volta gli splendidi occhi azzurri dell'autobus, accortasi della mia presenza iniziò a correre, io per risposta feci altrettanto. Non sono mai stato un buon atleta, anzi non sono mai stato un'atleta, a scuola avevo sempre avuto un seino ad educazione fisica, e in quell'occasione meritavo anche qualcosa di meno, infatti, dopo pochi minuti mi prese l'affanno ma soprattutto inciampai su un enorme pozzanghera finendoci dentro. Mi resi conto che ero nella melma ma soprattutto nella merda. Riuscii a rialzarmi, la prima cosa che mi venne in mente era se il cellulare era sempre funzionante, ma non lo trovavo doveva essere sguazzante in mezzo alla pozzanghera. Alzai lo sguardo e vidi la causa dei miei guai poco distante da me che mi fissava ridendo sotto i baffi. Tese la mano per tirarmi fuori dal pantano ed io un po' incredulo un po' incazzato allungai il braccio e con un po' di forza uscii dalla pozza. Mi disse, con accento forse slavo, che abitava qui vicino e che se volevo potevo andare ad asciugarmi da lei. Inerme e incosciente la seguii sino al suo appartamento in un seminterrato di un palazzo poco distante dal parco. Si chiamava Marzena, almeno così disse, ed era originaria di un paesino del sud della Polonia, lavorava sino a due settimane prima in una profumeria del centro di Firenze ma non gli avevano rinnovato il contratto a causa della crisi. Le chiesi un asciugamano pulito e mi infilai in bagno cercando di darmi una parvenza di decenza, quel giorno avevo da consegnare il secondo capitolo della tesi che tra l'altro era diventato un colabrodo. D'un tratto sentii il suono del mio telefonino e un sospiro di sollievo mi pervase, lo stato di felicità durò solo un secondo il tempo di accorgermi che il suono non proveniva dai miei indumenti ma da fuori del bagno. Mi affacciai di colpo e vidi Marzena che stava con il mio telefono in mano nell'intento di togliere la scheda. Incredulo ed a questo punto incazzato nero mi misi ad urlare, mi avvicinai a lei che prontamente tirò fuori di tasca uno spray al peperoncino spruzzandomelo negli occhi, caddi a terra sbattendo la testa. Di li l'oscurità, la notte, un suono familiare ed insistente, qualcosa di pesante e di umidiccio addosso. Aprii gli occhi e vidi la viscida lingua di Leo il mio cane intenta a lavarmi il viso, nel comodino la mia sveglia che suonava all'impazzata, era solo un sogno. Cazzo. Sentii la voce di mia madre che mi ricordava che dovevo andare all'università aconsegnare il secondo capitolo della tesi. Più rincoglionito che mai mi preparai per uscire di casa. Salito sull'autobus trovai un posto a sedere, non c'erano vecchietti con la ghigna attorno quindi mi misi a leggere in tranquillità il solito giornaletto. Circa a metà del tragitto il bus fece una brusca frenata , alzai gli occhi proprio nel bel mezzo dell'oroscopo. Notai per caso una piccola mano che sfilava un borsello dalla borsa di un signore di mezza età, mi alzai di colpo e vidi il volto di una ragazza con due bellissimi occhi azzurri che si incrociarono con i miei. Gridai un nome, Marzena. L'autobus si fermò la ragazza scese, io la seguii ma questa è un'altra storia.

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