martedì 19 aprile 2016

30 anni dall'adesione del Portogallo alla Cee - le speranze di allora, delusioni di oggi e il prezzo alto da pagare per il futuro


La percezione dell'Europa pre, durante e post crisi in un paese come il Portogallo per il quale le istituzioni comunitarie sono state un anello determinante per mettersi alle spalle definitivamente gli anni bui della dittatura. L'analisi che ne consegue parte inevitabilmente dai moti rivoluzionari culminati il 25 aprile del 1974 giorno simbolico della Rivoluzione dei Garofani, con il carico di speranze e aspettative che l'allora 'paese più povero dell'Europa occidentale' aveva nell'avvenire e che guardava assieme alla vicina Spagna la Comunità Economica Europea (Cee) come una garanzia di uno sviluppo economico e sociale. Negli anni successivi se da un lato gli ideali progressisti della Rivoluzione dei Garofani appassirono piuttosto in fretta le istituzioni democratiche si consolidarono e nel 1986 il Portogallo divenne membro effettivo della Cee. L'affermarsi della democrazia venne accompagnato da una progressiva modernizzazione e liberalizzazione dell'economia che seppur rimanendo nel complesso 'modesta' rispetto agli altri partner comunitari contribuì al consolidarsi di un relativo benessere. La voglia di apertura verso il mondo di una parte della classe economia e politica lusitana ha portato il Portogallo ad organizzare l'Expo del 1998 che ha acceso i riflettori del mondo su questo paese ancora sconosciuto ai più dando il via al turismo che rappresenta tutt'ora un settore vitale e in espansione dell'economia. Sempre quegli stessi attori economici e istituzionali vollero a tutti i costi che il Portogallo partecipasse sin da subito (1999) alla moneta unica europea (Euro) nell'illusione, non solo portoghese, che la fase espansiva dell'economia fosse duratura e che l'Euro servisse come scudo finanziario per i paesi con una moneta considerata 'debole' e con i conti pubblici non perfettamente in regola rispetto ai parametri fissati nei trattati comunitari. Gli avvenimenti turbolenti susseguitisi sin dai primi anni 2000 rivelarono la fragilità del progetto e i rischi crescenti che correvano gli stati soprattutto dell'Europa meridionale strutturalmente più deboli rispetto a quelli del nord. La grande recessione cominciata negli Stati Uniti nel 2007 con la crisi dei debiti Subprime e progressivamente allargatasi a tutto il mondo occidentale e che, con un effetto domino, diede origine nel 2012 alla crisi dei debiti sovrani che colpì duramente alcuni paesi dell'area euro tra i quali il Portogallo i cui governi furono costretti ad accettare piani di salvataggio finanziario della cosiddetta Troika per evitare il default finanziario. Il prezzo da pagare è stato notevole ed e' consistito de facto in una limitazione della sovranità economico/finanziaria essendo costretti a varare riforme strutturali della propria economia con effetti recessivi con notevole impatto nelle dinamiche occupazionali e più in generale negli standard di vita consolidati negli anni di una parte notevole della popolazione. I governi portoghesi di allora, prima a guida socialista con Josè Socrates e successivamente a guida del Partito Socialdemocratico (in Portogallo di centro destra) con Pedro Passos Coelho, hanno adottato misure drastiche e strutturali consistenti in tagli della spesa pubblica, aumento dell'Iva e lotta all'evasione che hanno suscitato le maggiori proteste sociali dalla fine della dittatura ma che hanno al contempo fatto del Portogallo una sorta di 'stato modello' per quanto riguarda il rispetto degli accordi presi con i creditori. Lo stato lusitano è anche l'unico a non essere apparente toccato da cosiddetti fenomeni 'populisti', non avendo nell'arco istituzionali partiti di estrema destra o xenofobi, e nemmeno i partiti anti-euro che sostengono dall'esterno l'attuale esecutivo Costa destano particolari preoccupazioni. Attualmente il Portogallo attraversa una fase economica migliore rispetto ad altri sia in termini di crescita del Pil che a livelli occupazionali, anche se il tutto va visto in un contesto internazionale con turbolenze crescenti e con una ripresa economica europea che in realtà ha più il volto della stagnazione.



Ma tutto questo a che prezzo? E soprattutto la ripresa attuale rende immune il Portogallo dai rischi crescenti dell'economia globale? Nel trentesimo anniversario dell'ingresso del Portogallo in Europa che percezione si ha delle istituzioni di Bruxelles? Tecnorati arroganti o partner economico/istituzionali che hanno a cuore la sorte del Portogallo e dell'intera Ue...

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